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EDUARDO GALEANO e le vene aperte ancora da raccontare...

Sono anni che Eduardo Galeano ci racconta la Storia. Quella con la “S” maiuscola. Quella dei paradossi, delle tragiche ricorrenze, delle apparenti contraddizioni. Lo fa con la sua poetica e il suo modo di scrivere, semplice e diretto, che non lascia spazio a inutili ghirigori, ma va diritto a bersaglio, dritto al cuore. Perché Galeano, da anni, raccoglie frammenti di vite per lo più dimenticate o addirittura mai lette. E lo fa così come si raccolgono i sogni. Vissuti, ascoltati o semplicemente immaginati. Mette in fila poche righe, asciutte e spesso devastanti, mettendo a nudo fatti anche distanti tra loro nel tempo, per poi ricomporli con il suo senso critico e ridandogli un significato antico, che a noi era sfuggito, quello dell’ essenza delle cose. Lo fa con quella ironia e fantasia tutta sudamericana, tutta sua. Lo fa con quei suoi microracconti di poche pagine, di poche parole. Perché la verità non ha bisogno di tanto clamore. Non ha bisogno di fronzoli. Spesso, infatti, fa male già così com’è. Scrive per noi il grande scrittore uruguayano. Per noi, che corriamo sempre e viviamo nei nostri piccoli mondi e non ci fermiamo mai a guardare il cielo.
La Storia che ci racconta Galeano non è solo quella dei potenti o dei personaggi famosi. No. In molti casi è la storia dei perdenti, degli esclusi, di quelli, per dirla come dice lui “che non entrano mai nelle fotografie”. Una Storia scritta per non dimenticare, per recuperare la memoria perdida, contro il rischio di nuovi catastrofi, contro ogni pregiudizio. Di classe, economico, razziale, di sesso, ideologico o religioso. Parole scritte da uno il cui motto è da sempre lo stesso di Rosa Luxemburg, la quale diceva “che il più grande atto rivoluzionario è dire ciò che si pensa”.
Eduardo Galeano, classe 1940, uruguayano, come il suo amico Juan Carlos Onetti, all’inizio degli anni settanta, quando era giornalista, fu prima catturato e poi espulso dal suo Paese nel 1973, perché persona non gradita ai militari golpisti, ai quali si era opposto, e che da li a poco avrebbero fatto strage incondizionata di desaparecidos e oppositori assieme ai loro colleghi cileni e argentini. Dopo anni d’esilio in Spagna, Galeano ritorna a metà degli anni ottanta nella sua Montevideo. Difensore dei diritti civili, militante del movimento no global a Porto Alegre, in questi anni ha scritto libri memorabili, che trasudano di storie e di poesia letteraria, a cominciare dai due monumentali “Le vene aperte dell’America Latina” e la trilogia “Memoria del Fuoco”, passando per “Giorni e notti di amore e di guerra”, “Parole in cammino”, “Il libro degli abbracci”, “Le labbra del tempo”, “A testa in giù” e il mitico “Splendori e miserie del gioco del calcio”.
Si chiama “Specchi” (Sperling & Kupfer, 2008) , sottotitolo: Una Storia quasi universale (del mondo), l’ultimo libro di Eduardo Galeano. Per chi non lo conoscesse, semplicemente, uno dei più grandi scrittori viventi. Il libro che uscirà in Italia ad ottobre, Galeano è venuto a presentarlo in questi giorni in Italia, ed io, sono andato ad ascoltarlo.
Martedì 9 settembre, Festival provinciale dell’Unità a Bologna. Galeano si presenta con la sua solita mogliettina scura a girocollo. Si siede, ascolta l’introduzione di Gianni Minà, quello che da anni lo pubblica nella sua collana “Continente Desaparecido”. C’è un caldo appiccicoso, nonostante siano già passate le nove di sera. Ma il Palacuore è già gremito e poi a Bologna si sa, l’umidità è di casa. Galeano si presenta “Mi sento compatriota di chi ha sete di giustizia e di bellezza, indipendentemente dalla zona geografica o dal tempo di appartenenza”.
Poi inizia a parlare del suo libro e del suo modo di vedere e raccontare il mondo. “Il libro, composto da oltre seicento storie, nasce dalla mia insana curiosità ed esigenza di provare a pormi delle domande. Sono un inguaribile pregunton” scherza Galeano. Perché le domande, a volte, se uno ci ragiona un po’, spesso possono dare risposte inaspettate. “Quando ho letto la storia di Babele nella Bibbia, un romanzo bellissimo, mi chiesi, ma sarà un fatto realmente accaduto? Possibile che la diversità delle lingue sono state create come forma di castigo? Io mi domando, sarà un castigo o un premio? Io credo sia stato un regalo di Dio contro la noia del pensiero unico!”
Poi prende dei fogli e inizia a leggere, con la sua voce calda e baritonale, lentamente, alcuni dei suoi racconti : “Quando avevo otto anni, la mia insegnante di scuola raccontava, come vuole la Storia ufficiale, che Vasco Nunez de Balboa fu il primo uomo che vide, da una cima di Panama, i due Oceani. Io chiesi alla maestra: gli indios che da anni vivevano lì erano ciechi? Fu la mia prima espulsione”. Continua Eduardo. “Adamo ed Eva erano neri? Il viaggio umano nel mondo cominciò in Africa. Da lì i nostri avi intrapresero la conquista del pianeta. I diversi cammini fondarono i diversi destini, e il sole ebbe il compito di assegnare i colori. Adesso noi donne e noi uomini, arcobaleni della terra, abbiamo più colori dell’arcobaleno del cielo; ma siamo tutti africani immigrati. Persino i bianchi vengono dall’Africa. Forse ci rifiutiamo di ricordare la nostra origine comune perché il razzismo produce amnesia, o perché ci risulta impossibile credere che in quei tempi remoti il mondo intero fosse il nostro regno, immensa cartina senza frontiere e le nostre gambe fossero l’unico passaporto richiesto…”. “..Quando c’era il muro di Berlino, se ne parlò per anni, tutti i giorni su tutti i giornali, continuano a crescere muri in tutto il mondo, in Palestina, in Messico, in Marocco, muri decine di volte più grandi di quello di Berlino. Perché ci sono muri così altisonanti e altri così muti”.
Galeano continua, così, sciorinando parole ed emozioni per una buona mezz’ora. Arrivano le domande dal pubblico. Gelano risponde e scherza. Ricorda un aneddoto che raccontavano in Spagna a proposito del fatto che il dittatore Franco, così come tutti i “cattivi”, non moriva mai. “Si dice come dopo una lunghissima agonia di oltre un anno, il Generale Franco oramai immobile e moribondo, un giorno sentì dalla finestra del suo palazzo un forte rumore che saliva. Chiese ad un funzionario che cosa fosse. E questo gli rispose:-Generale è il popolo che è venuto a congedarsi e Franco chiese alzandosi in piedi: E dove vanno?”.
Perché il motore della Storia sono le continue contraddizioni, i paradossi e i diversi punti di vista. “Perché”, ricorda Galeano, “la merda è merda, ma è anche concime”. Perché dobbiamo imparare a leggere ciò che ci circonda con altri occhi. “Perchè non ci siamo accorti che oramai siamo strumenti degli stessi strumenti che abbiamo inventato. In realtà è l’automobile che ci guida, sono i computer che ci programmano, i supermarket che ci comprano…Io credo che di notte, mentre noi dormiamo, tutte queste macchine si animano e iniziano a divertirsi alle nostre spalle e a bere, sino ad ubriacarsi. E forse è per questo la mattina sono così efficienti e fanno cose strabilianti. Sono gli effetti della sbornia”.
Il giorno dopo Galeano è alla Feltrinelli, sempre a Bologna. Galeano inizia a raccontare e a raccontarsi, ed io intanto, prendo appunti e mi leggo un altro dei suoi racconti, nel piccolo estratto del libro “Specchi” che la libreria ci ha fornito: “Fatti di desiderio. La vita, senza nome, senza memoria, era sola. Aveva le mani, ma non aveva chi toccare. Aveva la bocca, ma non aveva con chi parlare. La vita era una, ed essendo una non era nessuna. Allora il desiderio sparò il suo arco. E la freccia del desiderio divise la vita a metà e la vita fu due. I due si incontrarono e risero. Li faceva ridere vedersi, e anche toccarsi.” Sul retro dell’opuscolo, poche righe riassumono il senso del titolo del libro: “Gli specchi sono pieni di gente. Gli invisibili ci vedono. I dimenticati ci ricordano. Quando ci vediamo, li vediamo. Quando ce ne andiamo, se ne vanno?” Questo libro è stato scritto perché non se ne vadano. In queste pagine si uniscono passato e presente. I morti rinascono, gli anonimi hanno un nome.
L’incontro finisce. Riesco a salutarlo. Gli regalo umilmente il mio libro “Futbol, tango y corazon”. Galeano sorride, mi chiede se c’ho scritto sopra anche il mio indirizzo email. Poi mi regala una dedica sulla mia copia del suo “El futbol a sol y sombra” che ho portato per farmi fare un autografo. E’ un disegno: un maialino che colpisce un pallone con la testa, sul quale scrive “Paolo”. Con sotto la sua firma e l’anno. 2008.

Paolo Mattana© 2008