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JACK LONDON. IL POPOLO DEGLI ABISSI

Oggi ho riletto un grande libro di un autore leggendario. “Il popolo degli abissi” (1903) di Jack London, Siamo all’inizio del secolo scorso, nel 1902 a Londra e Jack London, si traveste da marinaio ed entra nei sobborghi malfamati della capitale Inglese a verificare di persona quelli che vivono ai margini della società. Il grande Jack, come al solito contro ogni convenzione dell’epoca, spinto dalla sua curiosità e dal suo senso di avventura, si cala “nell’abisso” per vedere cosa c’è dentro. Per raccontare, come sintetizzerà molti anni dopo anche Garcia Marquez con il motto “vivere per raccontarla”, anche Jack London pensa che bisogna vedere da vicino e toccare con mano prima di scrivere. Dopo questa esperienza, ne uscirà fuori un libro a metà tra letteratura e giornalismo, una sorta di piccolo capolavoro “neorealista” di inchiesta sociale.
Il 1902 è un periodo complesso di grandi stravolgimenti e contrasti. Siamo nel pieno della Seconda Rivoluzione Industriale e della Belle époque. E’ l’epoca delle grandi invenzioni e scoperte scientifiche, che alimentano un grande ottimismo per il futuro, ma non mancano forti ingiustizie e tensioni sociali. Due anni prima c’era stata l’Esposizione Universale di Parigi in cui trionfava l’energia elettrica e di li a poco inizieranno i primi tentativi di volo dei fratelli Wright. Ma in Italia il 29 luglio 1900, a Monza Re Umberto I viene ucciso dall’anarchico Gaetano Bresci.
L’Europa è sotto crescente espansione demografica e soprattutto l’Inghilterra ha praticamente triplicato la sua popolazione in poco meno di un secolo. Ma sta iniziando anche il suo declino, di fronte a nuove potenze come gli Stati Uniti d’America.
I Paesi pullulano di fabbriche siderurgiche e tessili e le vecchie monarchie iniziano a lasciare il passo a venti democratici, sospinti con forza da idee anarchiche e socialiste. I movimenti operai ed i sindacati hanno una forza contrattuale enorme e conquistano, a dispetto delle severe politiche repressive dei vari governi nazionali, fondamentali diritti per i lavoratori. Ma sono comunque gli anni in cui il prezzo del progresso economico e tecnologico viene ottenuto anche a fronte dello sfruttamento di enormi masse di popolazioni e lavoratori “spremute” da orari e condizioni di lavoro massacranti.
Il “popolo degli abissi” dell’Est End londinese, con cui il grande scrittore americano entrerà in contatto, è parte integrante di questa società, ma ne è ai margini, funzionale come fosse un prodotto metabolico di scarto. Rifiuti da produrre e nascondere. Sono ubriachi, prostitute, ladri e suicidi, gente senza cultura ed istruzione, devastati da povertà e malattie, la maggior parte delle quali senza la benché minima speranza od aspettativa per un domani migliore. Ma il popolo che descrive London non è un “massa informe” trattata come un astratto oggetto di indagine sociologica, ma è fatto innanzitutto di individui, con nomi, volti e storie personali.
London, che nel suo viaggio incontrerà e parlerà con uomini ridotti a sopravvivere in stati subumani, non è insensibile a ciò che vede e non disdegnerà commenti e critiche feroci al modello della società in cui vive e ai suoi attori principali. Fortemente influenzato e sensibile alle cause socialiste, andrà al cuore del problema e individuerà nella mancanza del lavoro una delle ragioni principali di tanta “inumana miseria”. Lo farà in modo lucido e con parole semplici ed indimenticabili: “La disgrazia e la miseria hanno la capacità di sconvolgere profondamente la mente umana, conducendo alcuni al manicomio, altri all’obitorio o sulla forca. Quando succede che un padre e marito, pur con tutto l’amore per la moglie e i figli e la voglia di darsi da fare, non riesce a trovare lavoro, è facile che la sua ragione vacilli e che la luce nel suo cervello si offuschi. Ed è ancora più facile se si tiene conto che il suo corpo è devastato dalla denutrizione e da malattie, e che la sua anima è tormentata dalla vista di sua moglie e dei suoi bambini che soffrono” .
Esistono testi che pur a distanza di cento anni rimangono attuali come se fossero stati appena scritti. E questo è certamente un caso. Il popolo di Jack London è fatto da poveri disoccupati e poveri lavoratori (“working poor” come si direbbe oggi). Si tratta in fondo di una enorme massa di “precari” impossibilitata a costruirsi un futuro e destinata a perdersi in una vita senza luci. Certo, ne son passati di anni da allora, ma a guardarsi intorno, ai giorni nostri, mi vengono “cattivi pensieri” di strane analogie…

Jack London, al secolo John Griffith London, naque a San Francisco, Stati Uniti, nel 1876. Un infanzia segnata dalla povertà, lo porterà a fare presto conoscenza della vita di strada e dell’alcolismo, costringendolo fin da ragazzo a lavorare per aiutare la famiglia. Prima di diventare scrittore, fu tra i vari mestieri, venditore di giornali, operaio, pescatore, marinaio e cercatore d’oro nel Klondike. Un passato di stenti e povertà che influenzerà in seguito i temi principali della sua narrativa. Diventò famoso nel 1903 con Il richiamo della Foresta la storia di un cane che lascia la società degli uomini per andare a vivere con i lupi. Autodidatta, raggiunse la sua fama di scrittore sino a divenire per alcuni anni l’autore più letto e pagato del suo tempo. Divenne scrittore grazie a un vero talento e ad una grande forza di volontà, raccontata tra l’altro in un grande romanzo autobiografico come Martin Eden (1913) . Scrisse moltissimi romanzi e racconti, dei generi più diversi, anche se i migliori rimangono quelli a sfondo avventuroso, naturalistico e sociale. Tra i tanti, Il figlio del lupo (1900), Il lupo di mare (1904), Zanna bianca (1906), Il tallone di Ferro (1907), La strada (1907), John Barleycorn (1913), La crociera dello Snark(1911). Morì, indebitato e ammalato all’età di quarant’anni il 22 novembre del 1916.

Paolo Mattana © 2007