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VIOLETA PARRA. SANTA DE GREDA PURA

Quest’anno ricorrono quarant’anni dalla morte e novanta dalla nascita, di una delle mie artiste preferite. Un talento, quello di Violeta Parra, con pochi eguali ed una passione per la vita ed una sensibilità fuori dal comune, condensate in una scrittura intensa ed una voce tanto esile quanto suggestiva.
Nata fragile come un pezzo d’argilla (“Santa de greda pura” come la definì Pablo Neruda), Violeta ha saputo con forza, raccontare le gioie e i dolori dell’amore, spesso triste e sconfitto, così come la solitudine dell’esistenza o la solidarietà verso i più deboli. Lo ha fatto semplicemente narrando la sua vita, con poesie e canzoni, sempre con la stessa toccante e genuina intensità, di chi ciò che ha scritto, lo ha allo stesso tempo sentito nell’anima e vissuto sulla propria pelle.
Non so definire quale posto occupi oggi Violeta Parra nella cultura latinoamericana, certo è che in passato la sua opera ha certamente influenzato molti artisti sudamericani. Autrice di tantissime canzoni, rese poi celebri da interpreti in tutto il mondo, Violeta Parra in tutta la sua opera ha descritto ciò che provava e ciò che vedeva, senza veli e senza paure. Lo ha fatto a cominciare dalla splendida autobiografia in versi, chiamata “Decimas”, composta da 96 poesie ( tra le tante basti ricordare Un ojo dejé en Los Lagos più tardi musicata con Patricio Manns ed interpretata da vari autori con il titolo di La Exiliada del Sur) nelle quali Violeta racconta la sua vita dall’età di bambina a quando ritorna in Cile, oramai adulta, dopo un suo lungo viaggio in Europa. E già da questa raccolta, ne esce un ritratto a multifacce, specchio della sua forte inquietudine, di una donna tenera e fragile, ma al tempo stesso capace di una forza disperata. Una donna spesso preda di pessimismo e depressione, ma capace anche di sprazzi di ottimismo ed ironia. Una donna che ha sempre cercato angosciosamente di essere amata, lei, che bassa di statura e dai lineamenti fortemente irregolari, per lunghi tratti della sua esistenza non si accettò fisicamente con inevitabilmente riflessi sulla sua personalità e sulle sue relazioni.
A fianco dei temi ricorrenti della sua poetica, la morte e l’amore, che esplorano e divulgano il suo complesso universo interiore, troviamo nell’opera di Violeta anche moltissimi testi che riguardano contenuti che descrivono le realtà sociali della sua epoca, facendo sì che essa sia diventata contemporaneamente anche una testimone importante del suo tempo e la portavoce delle istanze di libertà e delle sofferenze di buona parte del popolo cileno, che al tempo in cui visse Violeta, era ancora nella maggioranza povero e sottosviluppato. Così, oltre a se stessa, i protagonisti dei suoi testi, sono anche i Mapuche (gli indios della Patagonia), emarginati da sempre dai governi centrali (Arauco tiene una pena), i grandi minatori del nord e la loro vita fatta di stenti e fatiche (Arriba quemando el sol), gli operai che scioperano per difendere il salario (La carta) o la miseria contadina sintetizzata dall’arcaico funerale di un bambino appena morto (Rin del angelito).
Ma forse è proprio Gracias a la vida , una delle sue ultime composizioni e probabilmente la sua più famosa, che meglio di ogni altra, sintetizza la grandezza di questa artista, che con questo testo si distacca praticamente dalla vita e dalla sua opera.

Violeta Parra nacque il 4 ottobre del 1917 a San Carlos de Nuble, un piccolo comune vicino a Chillan, nel sud del Cile, a ridosso della Cordigliera Andina. Li trascorse i suoi primi anni di vita in compagnia dei molti fratelli e in un ambiente povero e campesino. Presto orfana del padre, che insegnante in una scuola primaria morì dopo aver perso il lavoro ed essersi rifugiato nell’alcol, la piccola Violeta si trovò subito a convivere in un difficile contesto familiare che lotta per la sopravvivenza. Così, a tredici anni, Violeta si trasferì a cercare fortuna a Santiago raggiungendo suo fratello maggiore Nicanor, l’unico della famiglia che aveva avuto il privilegio di una istruzione. Nicanor, che anni dopo diventerà l’antipoeta per eccellenza e candidato al premio Nobel per la letteratura, la spingerà subito a studiare e a coltivare la sua passione per l’arte. Ma Violeta, spinta dal bisogno di indipendenza, iniziò invece a guadagnarsi da vivere andando in giro per locali, spesso vere e proprie bettole (boliches de tragos), a suonare e cantare le canzoni che a quel tempo andavano alla moda, grazie al duo che aveva formato con sua sorella Hilda e chiamato “Las hermanitas Parra” ( le sorelline Parra), suonando la chitarra, che nel frattempo aveva imparato a strimpellare da autentica autodidatta. A ventuno anni si sposò con Luis Cereceda, un operaio ferroviere, con cui diede vita ad un matrimonio che durò dieci anni e dal quale ebbe due figli, Isabel e Angel, che più tardi prenderanno con successo la stessa strada musicale intrapresa dalla madre. Nel 1949, Violeta si sposò una seconda volta con il cantante d’opera Jorge Arce, da cui avrà una figlia di nome Carmen Luisa.Ma è a partire dal 1950, che Violeta iniziò finalmente a realizzarsi compiutamente cominciando a viaggiare per il Cile in una esperienza che terminerà di formarla e di segnarla sia sul piano culturale che in quello umano. Durante quel lungo viaggio, raccoglierà versi e canzoni del patrimonio folcloristico del suo Paese e lo farà, registrando e scrivendo, portando alla fine alla luce migliaia di testi e canzoni destinate altrimenti all’oblio. Sarà quello un periodo pieno di attività, nel quale farà la conoscenza di numerosi artisti, tra i quali Pablo Neruda. In quel periodo, contemporaneamente, scrive poesie e canzoni e si dedica all’altre sue passioni artistiche, come la pittura sui tessuti o la scultura di ceramiche, altro modo per esprimere la sua grande creatività interiore e al tempo stesso sedare la sua forte inquietudine.
Nel 1954, vince il premio della “folklorista” dell’anno e per questo viene invitata a partecipare al festival della gioventù internazionale in Polonia. Violeta ci andrà, passando per l’Unione Sovietica e rimanendo per due anni in Francia, dove farà mostre e recital in vari luoghi, incidendo anche il suo primo disco per “Chants du Monde”. In questo periodo, quando inizia ad essere conosciuta in tutta Europa, la sua figlia piccola, rimasta in Cile con il padre, muore di polmonite.
Ritornata in Cile, Violeta inizia ad incidere dischi e riprende i suoi viaggi di ricerca delle tradizioni di cultura popolare nel sud del Paese e conosce l’antropologo svizzero Gilbert Favrè, con il quale inizia una storia sentimentale, che tra alti e bassi, la porterà fino alla fine dei suoi giorni. Ma gli anni sessanta, sono anche gli anni in cui nasce in tutta l’America Latina ed in particolare in Cile il movimento culturale chiamato la “Nueva cancion”, caratterizzata da testi fortemente impegnati sul piano politico e sociale, tesi a dar voce a quel vento socialista, di ribellione al capitalismo e di denuncia delle condizioni di sfruttamento dei lavoratori e della povertà, che si era scatenato con la rivoluzione cubana del 1957. Violeta, profondamente legata all’ideologia comunista, sarà una dei fondatori di tale movimento, assieme a Victor Jara, a Patricio Manns, agli Inti-Illimani e ai Quilapayun. Sono gli anni dei concerti e dei raduni, in cui le piazze ed i parchi si riempiono di ragazzi e studenti vestiti di jeans e con i capelli lunghi, che vogliono stare insieme e sognare la libertà. In questo clima, Violeta riparte per la Francia, questa volta con i figli Isabel e Angel per un lungo tour che la porterà in Nord Europa, ma anche in Germania ed in Italia e nel 1964 arriva ad esporre le sue sculture e pitture al Museo del Louvre di Parigi.
Tornata a Santiago del Cile, piena di entusiasmo, apre con i suoi figli un centro artistico a La Reina, un quartiere periferico di Santiago, chiamato la “Carpa de La Reina”. Il luogo, che doveva essere un ritrovo popolare per fare cultura, è un fallimento, frequentato praticamente solo da turisti, intellettuali e musicisti amici di Violeta. L’insuccesso dell’impresa getta Violeta in una forte depressione che la condurrà a tentare il suicidio. Riuscirà a riprendersi ancora una volta e a trovare l’entusiasmo per continuare a cantare ed intraprendere altri viaggi. Nel frattempo però i rapporti con l’antropologo Favrè peggiorano e lui la lascia (Run Run Se Fué Pa’l Norte, Corazon Maldito, Gracias a la vida). Violeta non si riprenderà più. Si suiciderà la domenica del 5 febbraio 1967, all’età di cinquant’anni.

Paolo Mattana © 2007