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RESILIENZA

Nel mio cortile c’è un piccolo giardino diviso a strisce tra tutti i condomini. Nel minuscolo pezzo di terra strappato all’asfalto che mi appartiene vive un albero di cachi piantato forse da prima che io nascessi. D’inverno i suoi frutti maturi cadono spiaccicandosi al suolo in una zuccherosa poltiglia arancione. Qualche anno fa in un momento di debolezza, stanco di raccogliere e pulire i cachi da terra, l’ho potato selvaggiamente trasformandolo in un inutile rudere che facesse bella mostra di sé in ricordo dei vecchi tempi. Il giorno dopo quello scempio ero già pentito ma oramai non potevo farci più nulla.
Per fortuna non sapevo che ci vuole dell’altro per abbattere un albero di cachi che un semplice taglio di sega. I botanici dicono che il caco sia antico di secoli e che sia giunto a noi dall’Oriente dopo un lungo e faticoso viaggio portando con sé la sapienza della sua cultura millenaria e l’indistruttibile attitudine alla resilienza.
Dopo due anni di apparente letargo durante un luminoso giorno di marzo il mio vecchio albero è tornato a crescere sviluppando esili rami che poi con il passare dei mesi sono diventati sempre più forti e più folti.
Ora il caco splende esuberante come prima e ha ripreso il suo solito ciclo vitale. Verde in primavera si riempie di foglie con cui fa ombra d’estate, ingiallito d’autunno accoglie i merli e gli storni tra le sue braccia prima di perdere di nuovo le foglie, ora rossicce, e regalarmi ancora i suoi dolci frutti che offre pendenti dai rami spogli come fossero allegre palle di Natale.
Nell’agosto del 1945 la bomba atomica lanciata sulla città di Nagasaki distrusse tutto ciò che quell’orribile strumento di morte toccò sul suo cammino di vergogna e devastazione. Tra le poche anime che sopravvissero c’era un albero di cachi. Ancora oggi, ogni volta che la vita mi scuote vado nel giardino per ritemprarmi e guardo il mio albero mentre lui, che mi ha oramai perdonato, mi conforta benevolo con la sua ombra cortese e un leggero movimento di fronde.

Paolo Mattana © 2020